Archivio di dicembre 2008

IN LATINO:

Chabrias Atheniensis, qui in summis habitus est ducibus resque multas memoria dignas gessit, periit bello sociali tali modo. Oppugnabant Athenienses Chium. Erat in classe Chabrias privatus, sed omnes, qui in magistratu erant, auctoritate anteibat, eumque magis milites quam, qui praeerant, aspiciebant. Quae res ei maturavit mortem. Nam dum primus studet portum intrare gubernatoremque iubet eo dirigere navem, ipse sibi perniciei fuit: cum enim eo penetrasset, ceterae naves non sunt secutae. Quo facto circumfusus hostium concursu, cum fortissime pugnaret, navis rostro percussa coepit sidere. Hinc refugere cum posset, si se in mare deiecisset, quod suberat classis Atheniensium, quae excipere poterat natantes, perire maluit quam, armis abiectis, navem relinquere, in qua fuerat vectus. At ille, praestare honestam mortem existimans turpi vitae, comminus pugnans telis hostium interfectus est.

IN ITALIANO:

L’ateniese Cabria, che fu considerato fra i sommi comandanti e compì molte gesta degne di memoria, morì al tempo della guerra sociale in questo modo. Gli Ateniesi combattevano a Chio. Cabria era nella flotta come privato cittadino, ma in prestigio superava tutti coloro che erano nella magistratura ed i soldati badavano più a lui che ai loro comandanti. Tale situazione gli accelerò la morte. Infatti, mentre cercava di entrare per primo nel porto e ordinava al timoniere di dirigere là la nave, egli stesso fu di rovina per sè: infatti quando giunse là, le altre navi non lo seguirono. Per questo fatto, circondato dall’assalto dei nemici, mentre combatteva molto coraggiosamente, la nave colpita dal rostro cominciò ad affondare. Sebbene potesse salvarsi se si fosse gettato in mare, poiché si erano avvicinate le navi ateniesi, che potevano raccogliere i naufraghi, preferì perire piuttosto che, gettate le armi, abbandonare la nave con la quale era stato trasportato. Ma lui, invece, ritenendo fosse preferibile una morte gloriosa ad una vita disonorata, fu ucciso dalle armi dei nemici combattendo corpo a corpo.

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IN LATINO:

Alcibiades, Cliniae filius, Atheniensis. In hoc, quid natura efficere possit, videtur experta. Constat enim inter omnes, qui de eo memoriae prodiderunt, nihil illo fuisse excellentius vel in vitiis vel in virtutibus. Natus in amplissima civitate summo genere, omnium aetatis suae multo formosissimus, ad omnes res aptus consiliique plenus (namque imperator fuit summus et mari et terra); disertus, ut in primis dicendo valeret, quod tanta erat commendatio oris atque orationis, ut nemo ei [dicendo] posset resistere, dives; cum tempus posceret, laboriosus, patiens; liberalis, splendidus non minus in vita quam victu; affabilis, blandus, temporibus callidissime serviens: idem, simulac se remiserat neque causa suberat, quare animi laborem perferret, luxuriosus, dissolutus, libidinosus, intemperans reperiebatur, ut omnes admirarentur in uno homine tantam esse dissimilitudinem tamque diversam naturam.

IN ITALIANO:

Alcibiade, figlio di Clinia, era Ateniese. In questo, pare che la natura abbia tentato di fare le massime prove possibili. Infatti risulta evidente tra tutti quelli che hanno tramandato la sua memoria, che nessuno più di lui è stato eccellente sia nei vizi che nelle virtù. Nato in una grandissima città, di ottima famiglia, era di gran lunga il più bello di tutti nel suo tempo, adattissimo e pieno di saggezza a tutte le cose anche le più difficili (e infatti era un grandissimo comandante sia in mare che in terra); era eloquente tanto da farsi valere tra i primi nel dire, poiché era di un’eloquenza tanto straordinaria che nessuno gli poteva resistere. Quando le circostanze lo richiedevano, era laborioso, paziente , liberale, signorile nella vita pubblica e non meno nella vita privata, era affabile, lusinghiero, poiché si adattava con astuzia alle circostanze. Egli stesso, nello stesso tempo si era svagato e non c’ era motivo per cui sopportasse il dolore dell’animo, era considerato sregolato al massimo, dissoluto, capriccioso, così tanto che tutti si meravigliavano che in un solo uomo ci fosse una così grande varietà di costumi ed una tanto diversa natura.

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IN LATINO:

[...] Primum imperator apud flumen Strymona magnas copias Thracum fugavit, oppidum Amphipolim constituit eoque X milia Atheniensium in coloniam misit. Idem iterum apud Mycalen Cypriorum et Phoenicum ducentarum navium classem devictam cepit eodemque die pari fortuna in terra usus est: namque hostium navibus captis statim ex classe copias suas eduxit barbarorumque maximam vim uno concursu prostravit. [...]

IN ITALIANO:

[...] Dapprima come comandante mise in fuga le grandi truppe dei Traci presso il fiume Strimona, fondò la città di Anfipoli e ci mandò in colonia diecimila Ateniesi. Sempre lui catturò la flotta sconfitta di duecento navi di Ciprioti e Fenici presso Micale e nello stesso giorno godé di pari fortuna a terra: e infatti, sottomettesse le navi dei nemici, fece scendere subito le sue truppe dalla flotta e distrusse in un solo assalto (quel)la grande moltitudine di barbari. [...]

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IN LATINO:

Post hoc proelium classem LXX navium Athenienses eidem Miltiadi dederunt, ut insulas, quae barbaros adiuverant, bello persequeretur. Quo in imperio plerasque ad officium redire coegit, nonnullas vi expugnavit. Ex his Parum insulam opibus elatam cum oratione reconciliare non posset, copias e navibus eduxit, urbem operibus clausit omnique commeatu privavit; dein vineis ac testudinibus constitutis propius muros accessit. Cum iam in eo esset, ut oppido potiretur, procul in continenti lucus, qui ex insula conspiciebatur, nescio quo casu nocturno tempore incensus est. Cuius flamma ut ab oppidanis et oppugnatoribus est visa, utrisque venit in opinionem signum a classiariis regis datum. Quo factum est, ut et Parii a deditione deterrerentur, et Miltiades, timens, ne classis regia adventaret, incensis operibus, quae statuerat, cum totidem navibus, atque erat profectus, Athenas magna cum offensione civium suorum rediret. Accusatus ergo est proditionis, quod, cum Parum expugnare posset, a rege corruptus infectis rebus discessisset. Eo tempore aeger erat vulneribus, quae in oppugnando oppido acceperat. Itaque, quoniam ipse pro se dicere non posset, verba fecit frater eius Stesagoras. Causa cognita capitis absolutus pecunia multatus est, eaque lis quinquaginta talentis aestimata est, quantus in classem sumptus factus erat. Hanc pecuniam quod solvere in praesentia non poterat, in vincula publica coniectus est ibique diem obiit supremum.

IN ITALIANO:

Dopo questa battaglia gli ateniesi consegnarono a Milziade stesso una flotta di settanta navi, affinché allargasse il conflitto alle isole che avevano aiutato i barbari. E sotto il (proprio) comando ne costrinse la maggior parte all’obbedienza, e alcune ne espugnò con la forza. Tra queste, poiché non poteva ricondurre all’obbedienza con la persuasione, l’isola di Paro, superba della sua potenza, condusse fuori dalle navi le truppe, chiuse la città con opere d’assedio e la privò di ogni rifornimento. Quando ormai era sul punto di conquistare la città, di lontano nella terraferma un bosco, che si poteva vedere dall’isola, non so per quale ragione di notte si incendiò. La sua fiammma così fu vista dagli assediati e dagli assalitori, e da entrambi venne il sospetto che fosse stato dato il segnale dai soldati della flotta reale. Perciò risultò che sia gli abitanti di Paro si trattennero dall’arrendersi, sia Milziade, temendo che sopraggiungesse la flotta del re, incendiate le macchine d’assedio che aveva predisposto, tornasse ad Atene con lo stesso numero di navi con cui era partito, tra il disappunto dei suoi concittadini. Quindi fu accusato di tradimento perché, sebbene potesse prendere d’assedio Paro, se ne sarebbe andato senza nessun risultato in quanto corrotto dal re. Pertanto, poiché non poteva difendersi personalmente, parlò (per lui) suo fratello Stesagora. Fatto il processo, assolto dalla pena capitale, fu punito con una multa, e quell’ammenda fu fissata in 50 talenti, (cioè) quanto era stato speso per allestire la flotta. Poiché al momento non poteva versare questa somma, fu gettato in prigione e lì morì.

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IN LATINO:

Hoc loco non est praetereundum factum Pharnabazi, satrapis regii. Nam cum Lysander praefectus classis in bello multa crudeliter avareque fecisset deque eis rebus suspicaretur perlatum esse ad suos cives, petiit a Pharnabazo ut ad ephoros sibi testimonium daret, quanta sanctitate bellum gessisset et socios tractavisse, et ut de ea re accurate scriberet. Huic ille liberaliter pollicetur; librum grandem verbis multis conscripsit, in quibus eum effert summis laudibus. Quem cum hic legisset proba(vi)ssetque, dum signatur, alterum pari magnitudine, tanta similitudine ut discerni non posset, signatum subiecit, in quo accuratissime eius avaritiam perfidiamque accusaverat. Hinc Lysander domum cum redisset, postquam de suis rebus gestis apud maximum magistratum quae voluerat dixerat, testimonii loco librum a Pharnabazo datum tradidit. Cum ephori cognovissent hunc, Lysandro ipso legendum dederunt. Ita ille imprudens ipse suus fuit accusator.

IN ITALIANO:

A questo punto non si deve tralasciare l’azione di Farnabazo, satrapo del re. Infatti poiché il comandante della flotta Lisandro aveva agito molto (fatto molte cose)* crudelmente e avidamente in guerra e sospettava che queste cose fossero state annunciate ai suoi concittadini, chiese a Farnabazo di dargli un attestato per gli efori e di scrivere accuratamente di questa cosa, con quanto disinteresse avesse condotto la guerra e trattato i compagni. Quello promise a questo volentieri; compose un grande libro con molte parole, nelle quali lo esaltava (esalta)* con somme lodi. E dopo che questo lo aveva letto e approvato, mentre veniva (è)* sigillato, lo sostituì con un altro già sigillato di pari grandezza, di una così grande somiglianza da non poter essere distinto, nel quale aveva denunziato con molta cura la sua avarizia e perfidia. Quando Lisandro era ritornato in patria da quel luogo, dopo che aveva detto presso il magistrato supremo ciò che aveva voluto circa le sue azioni, consegnò come testimonianza il libro datogli da Farnabazo. Dopo che gli efori erano venuti a conoscenza di ciò, lo diedero da leggere allo stesso Lisandro. Così quell’imprudente fu l’accusatore di se stesso.

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IN LATINO

Postquam Corinthum pervenit Dion et eodem perfugit Heraclides ab eodem expulsus Dionysio, qui praefectus fuerat equitum, omni ratione bellum comparare coeperunt. Sed non multum proficiebant, quod tyranno magnarum opum copia esse putabatur. Sed Dion, fretus non tam suis copiis quam odio tyranni, maximo animo duabus onerariis navibus, quingentis longis navibus, decem equitum centumque peditum milibus profectus oppugnatum, quod oninibus gentibus admirabile est visum, post diem tertium quam Siciliam attigerat, Syracusas introivit.

IN ITALIANO:

Appena Dione giunse a Corinto, e li si rifugio anche Eraclide, egli pure espulso da Dionigi, di cui era stato prefetto della cavalleria, con tutto l’impegno si accinsero a preparare la guerra. Ma non facevano grandi progressi, perché si pensava che il tiranno possedesse una grande quantità di mezzi. Ma Dione, fiducioso non tanto sulle sue soldatesche, quanto sull’odio verso il tiranno, con grandissimo ardimento parti per l’assedio con due navi da carico, cinquecento navi da guerra, diecimila cavalieri e centomila fanti. E, cosa che a tutti sembrò straordinaria, dopo tre giorni che era sbarcato in Sicilia, entrò in Siracusa.

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IN LATINO:

Timoleonti quidam Laphystius, homo petulans et ingratus, vadimonium cum vellet imponere, quod cum illo se lege agere diceret, et complures concurrissent, qui procacitatern hominis manibus coercere conarentur, Timoleon oravit omnes ne id facerent: hanc enim speciem libertatis esse, si omnibus, quod quisque vellet, legibus experiri liceret. Idem, cum quidam, nomine Demaenetus, in contione populi de rebus gestis eius detrahere coepisset, dixit nunc demum se voti esse damnatum, namque hoc a diis immortalibus semper precatum, ut talem libertatem restituerent Syracusanis, in qua cuivis liceret de quo vellet impune dicere.

IN ITALIANO:

Un certo Lafistio, uomo petulante e antipatico, voleva fare imporre a Timoleonte un mandato di comparizione in tribunale, dicendo che gli intentava processo. Allora molti accorsero, tentando con le mani di frenare l’impudenza di quell’uomo. Ma Timoleonte scongiurò tutti di non farlo: questo era infatti il concetto di libertà: che a tutti fosse lecito di sostenere ciò che voleva in nome della legge. Egli stesso, poichè un tale, di nome Demeneto, aveva cominciato in un’assemblea popolare a denigrarlo per le sue azioni, disse che ora finalmente era soddisfatto nel suo desiderio. Infatti egli aveva sempre implorato dagli dei immortali che concedessero ai Siracusani tale libertà, per cui a ciascuno fosse permesso di dire impunemente ciò che voleva.

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