Archivio di febbraio 2009

IN LATINO:

Est quidam vera lex recta ratio naturae congruens, diffusa in omnes,costans, sempiterna, quae vocet ad officium iubendo, vetando a fraude deterreat ; quae tamen neque probos frustra iubet aut vetat nec improbos iubendo aut vetando movet. Huic legi nec obrogari fas questa legge est neque derogari ex hac aliquid licet neque tota abrogari potest, nec vero aut per senatum aut per populumsolvi hac lege possumus, neque est quaerendus explanator aut interpres Sextus Aelius, nec erit alia lex Romae, alia Athenis, alia nunc, alia posthac, sed et omnes gentes et omni tempore una lex et sempiterna et immutabilis continebit, unusque erit communis quasi magister et imperator omnium deus: ille legis huius inventor, disceptator, lator; cui qui non parebit, ipse se fugiet ac naturam hominis aspernatus hoc ipso luet maximas poenas, etiamsi cetera supplicia, quae putantur, effugerit.

IN ITALIANO:

La vera legge è senza dubbio la retta ragione, in perfetto accordo con la natura, diffusa in tutti, invariabile, eterna, che induce a decretare il dovere, che distoglie dall’inganno con il vietare, che tuttavia né ordina né vieta invano ai cittadini onesti, né favorisce i disonesti con il comando o con il divieto. A questa legge non è possibile porre delle modifiche, né è lecito togliere da essa qualche disposizione, né è possibile abrogarla completamente, né in verità possiamo essere esonerati da questa legge né attraverso il senato né attraverso il popolo, né si deve interrogare l’espositore e interprete Sestio Elio. Non ci sarà una legge a Roma, una ad Atene, una adesso, una dopo, ma una sola legge eterna e immutabile governerà tutti i popoli in ogni tempo, solo uno sarà comune, si direbbe quasi, guida e signore di tutti, Dio: colui che ha ideato, sostenuto, proposto questa legge: e chi non gli obbedirà fuggirà se stesso disprezzando la natura degli uomini, proprio per questo patirà le massime pene, anche se sarà fuggito a quegli altri che sono ritenuti supplizi.

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IN LATINO:

Quae libidini subiecta sunt, ea sic definiuntur, ut ira sit libido puniendi eius, qui videatur leasisse iniuria, excandescentia autem sit ira nascens et modo exsistens, odium ira inveterata, inimicitia ira ulcisendi tempus observans, discordia ira acerbior intimo animo et corde concepta, indigentia libido inexplebilis, desiderium lidibo eius, qui nondum adsit videndi. Omnium autem perturbationum fontem esse dicunt intemperantiam, quae est a tota mente et a recta ratione defectio sic aversa a praescriptione ratibus, ut nullo modo appetitiones animi nec regi nec contineri queant. Quem ad modum igitur temperantia sedat appetitiones et efficit, ut eae rectae rationi pareant, conservatque considerata iudicia mentis; sic, huic inimcitia, intemperantia omnem animi statum inflammat, conturbat, incitat; itaque et aegritudines et metus et reliquae perturbationes omnes gignuntur ex ea.

IN ITALIANO:

Le emozioni che sono soggette alla passione sono così definite: l’ira è il desiderio di di punire colui che sembra aver(ci) offeso con un’ingiuria, l’escandescenza è l’ira che nasce e che esiste da poco; l’odio è ira invecchiata, l’inimicizia è l’ira che aspetta l’occasione di vendicarsi; la discordia è ira più acre nel profondo dell’animo e concepita nel cuore, l’indigenza è un desiderio insaziabile, il rimpianto è il desiderio che viva uno che non c’è più. Si dice che la fonte di ogni turbamento è l’intemperanza che è la separazione da tutta la mente e dalla retta ragione tanto lontano dal limite che non si può in alcun modo governare né contenere le pulsioni dell’animo. Pertanto, in questo modo la temperanza calma i desideri e fa in modo che essi obbediscano alla retta ragione e conservino i giudizi ben ponderati della mente; così l’odio, l’intemperanza, bruciano infiammano e turbano lo stato d’animo a costui; così, i malanni, i timori e gli altri turbamenti nascono tutti da essa.

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IN LATINO:

Cum quaestor in Sicilia fuissem, itaque ex ea provincia decessissem ut Siculis omnibus iucundam diuturnamque memoriam quaesturae nominisque mei relinquerem, cuncti ad me publice saepe venerunt, ut suarum fortunarum oninium defensionem susciterem. Me saepe esse pollicitum dicebant, si quod tempus accidisset, quo tempore aliquid a rne requirerent, commodis eorum me non defuturum. Venisse tempus aiebant, non iam ut commoda sua, sed ut vitam salutemque totius provinciae defenderem; sese iam ne deos quidem habere, quod eorum sirnulacra sanctissima C. Verres ex delubris sustulisset.

IN ITALIANO:

Dopo essere stato questore in Sicilia, partii da quella provincia, lasciando a tutti i Siciliani un gradevole e imperituro ricordo della mia questura e del mio nome, tanto che spesso vennero tutti quanti pubblicamente da me a chiedermi che assumessi la difesa della loro sorte. Dicevano che spesso io avevo promesso che se fosse venuto il momento in cui essi mi avessero richiesto qualche aiuto, io non sarei venuto meno ai loro bisogni. Dicevano che quel momento era venuto, non già perchè io difendessi i loro interessi, ma la vita stessa e l’integrità di tutta la provincia; che essi ormai non avevano nemmeno più gli dèi, perchè Caio Verre aveva portato via dai santuari tutte le loro venerande statue.

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