LATINO:
Hac pugna pugnata Romam profectus est nullo resistente. In propinquis urbi montibus moratus est. Cum aliquot ibi dies castra habuisset et Capuam reverteretur, Q. Fabius Maximus, dictator Romanus, in agro Falerno ei se obiecit. Hic clausus locorum angustiis noctu sine ullo detrimento exercitus se expedivit; Fabioque, callidissimo imperatori, dedit verba. Namque obducta nocte sarmenta in cornibus iuvencorum deligata incendit eiusque generis multitudinem magnam dispalatam immisit. Quo repentino obiecto visu tantum terrorem iniecit exercitui Romanorum, ut egredi extra vallum nemo sit ausus. Hanc post rem gestam non ita multis diebus M. Minucium Rufum, magistrum equitum pari ac dictatorem imperio, dolo productum in proelium fugavit. Tiberium Sempronium Gracchum, iterum consulem, in Lucanis absens in insidias inductum sustulit. M. Claudium Marcellum, quinquies consulem, apud Venusiam pari modo interfecit. Longum est omnia enumerare proelia. Quare hoc unum satis erit dictum, ex quo intellegi possit, quantus ille fuerit: quamdiu in Italia fuit, nemo ei in acie restitit, nemo adversus eum post Cannensem pugnam in campo castra posuit.

ITALIANO:
Combattuta questa battaglia partì alla volta di Roma senza alcuno che si opponesse. Si fermò sui monti nelle vicinanze della città. Dopo avere tenuto lì l’accampamento per alcuni giorni, mentre tornava a Capua, gli si parò davanti Q. Fabio Massimo, dittatore Romano, nel territorio di Falerno. Annibale, chiuso nell’angustia dei luoghi, durante la notte si cavò d’impaccio senza alcuna perdita per l’esercito e prese in giro Fabio, comandante espertissimo: ed infatti calata la notte incendiò dei rami secchi legati alle corna di alcuni vitelli e ne lanciò una grande moltitudine sparsa qua e là. Con questo spettacolo suscitò tanto terrore nell’esercito dei Romani che nessuno ebbe il coraggio di uscire dal vallo. Non molti giorni dopo questa impresa, mise in fuga M. Minucio Rufo, comandante dei cavalieri con un’autorità uguale a quella del dittatore, dopo averlo tratto in battaglia con un inganno. Sebbene fosse assente attirò in un’imboscata ed eliminò Tiberio Gracco Sempronio, console per la seconda volta. Uccise allo stesso modo presso Venosa M. Claudio Marcello, console per la quinta volta. Sarebbe lungo elencare tutte le battaglie, perciò sarà sufficiente dire solo questo da cui si possa comprendere quanto sia stato grande: per tutto il tempo che si trovò in Italia, nessuno gli è resistito in una battaglia campale, nessuno dopo la battaglia di Canne collocò l’accampamento in campo aperto di fronte al suo.

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